martedì 3 dicembre 2013

CITTADINANZA E IUS SOLI: CONFUSIONE E DEMAGOGIA

Sono convinto che la maggior parte di quanti oggi parlano di cittadinanza abbiano poco chiaro cos'è e come la si ottiene. Pertanto provo, con l'aiuto dell'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Calalzo Marinella Tenan, a fare innanzitutto un po' di chiarezza.
Attualmente la cittadinanza italiana è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (e relativi regolamenti di esecuzione: in particolare il DPR 12 ottobre 1993, n. 572 e il DPR 18 aprile 1994, n. 362) che, a differenza della legge precedente, rivaluta il peso della volontà individuale nell’acquisto e nella perdita della cittadinanza e riconosce il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze.
I principi su cui si basa la cittadinanza italiana sono:
• la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza (principio dello “ius sanguinis”);
• l’acquisto “iure soli” (per nascita sul territorio) in alcuni casi;
• la possibilità della doppia cittadinanza;
• la manifestazione di volontà per acquisto e perdita.
ACQUISTO DELLA CITTADINANZA.
La cittadinanza italiana può essere acquisita secondo le modalità di seguito riportate:
1. CITTADINANZA PER FILIAZIONE (“iussanguinis”)
L’art. 1 della legge n. 91/92 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Viene, quindi, confermato il principio dello iussanguinis, già presente nella previgente legislazione, come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza mentre lo ius soli resta un’ipotesi eccezionale e residuale. Nel dichiarare esplicitamente che anche la madre trasmette la cittadinanza, l’articolo recepisce in pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis. 
Riconoscimento del possesso della cittadinanza agli stranieri discendenti da avo italiano emigrato in Paesi ove vige lo ius soli.
La legge del 1912, sebbene all’art. 1 confermasse il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita già stabilito nel codice civile del 1865, all’art. 7 intese garantire ai figli dei nostri emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.
L’art. 7 della legge 555/1912 consentiva, infatti, al figlio di italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello ius soli, di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, anche se il genitore durante la sua minore età ne incorreva nella perdita, riconoscendo quindi all’interessato la rilevante facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero.
Tale norma speciale derogava, oltre al principio dell’unicità di cittadinanza, anche a quello della dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minore da quelle del padre, sancito in via ordinaria dall’art. 12 della medesima legge n. 555\1912.
Le condizioni richieste per tale riconoscimento si basano perciò, da un lato sulla dimostrazione della discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e, dall’altro, sulla prova dell’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, assenza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza italiana da parte degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione, a dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia interrotta).
Relativamente alle modalità del procedimento di riconoscimento del possesso iure sanguinis della cittadinanza italiana, le stesse sono state puntualmente formalizzate nella circolare n. K.28.1 dell’8 aprile 1991 del Ministero dell’Interno, la cui validità giuridica non risulta intaccata dalla successiva entrata in vigore della legge n. 91/1992.
L’autorità competente ad effettuare l’accertamento è determinata in base al luogo di residenza: per i residenti all’estero è l’Ufficio consolare territorialmente competente.
La procedura per il riconoscimento si sviluppa nei passaggi di seguito indicati:
accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni); accertare che l'avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente. La mancata naturalizzazione o la data di un'eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera; comprovare la discendenza dall'avo italiano mediante gli atti di stato civile di nascita e di matrimonio; atti che devono essere in regola con la legalizzazione, se richiesta, e muniti di traduzione ufficiale. A tal proposito è opportuno ricordare che la trasmissione della cittadinanza italiana può avvenire anche per via materna solo per i figli nati dopo il 01.01.1948, data di entrata in vigore della Costituzione; attestare che né l'istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane.
Il richiedente ha l’onere di presentare l’istanza corredata dalla prescritta documentazione, regolare e completa, volta a dimostrare gli aspetti sopra elencati.
L’istanza deve essere presentata all’Ufficio consolare nell’ambito della cui circoscrizione risiede lo straniero originario italiano.
2. CITTADINANZA PER NASCITA SUL TERRITORIO ITALIANO (“ius soli”).
Acquista la cittadinanza italiana:
- colui i cui genitori siano ignoti o apolidi o non trasmettano la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato del quale sono cittadini (art. 1, comma 1, lettera b legge n. 91/92);
- il figlio di ignoti che venga trovato abbandonato in territorio italiano e di cui non si riesca a determinare la cittadinanza (art. 1, comma 2 legge n. 91/92).
3. ACQUISTO DELLA CITTADINANZA DURANTE LA MINORE ETA’.
Particolare attenzione è riservata dalla legge n. 91/92 all’acquisto della cittadinanza durante la minore età a seguito di:
a) riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione;
b) adozione;
c) naturalizzazione del genitore.
a) CITTADINANZA PER RICONOSCIMENTO O PER DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DELLA FILIAZIONE.
È cittadino italiano il minore che viene riconosciuto come figlio da un cittadino italiano o che è dichiarato figlio di un cittadino italiano da parte di un giudice (art. 2, comma 1 legge n. 91/92).
In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, questi acquista la cittadinanza italiana solo se entro un anno dal provvedimento esprime la propria volontà in tal senso, attraverso una ”elezione di cittadinanza” (art. 2, comma 2 legge n. 91/92).
In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 12.10.1993, n. 572 (Regolamento di attuazione della legge n. 91/92) la dichiarazione di elezione della cittadinanza di cui all’art. 2, comma 2 della legge deve essere corredata dei seguenti atti:
- atto di nascita (ai fini dell’esatta individuazione dell’interessato);
- atto di riconoscimento o copia autenticata della sentenza con cui viene dichiarata la paternità o la maternità;
- certificato di cittadinanza del genitore.
Detti ultimi atti costituiscono il presupposto per richiedere il beneficio in esame.
E’ da osservare, infine, che la dichiarazione giudiziale di riconoscimento potrebbe essere stata effettuata all’estero: in questo caso il computo del periodo di un anno per rendere la dichiarazione di elezione della cittadinanza deve effettuarsi dalla data in cui viene reso efficace in Italia il provvedimento straniero.
b) CITTADINANZA PER ADOZIONE.
Acquista la cittadinanza italiana il minore straniero adottato da cittadino italiano mediante provvedimento dell’Autorità Giudiziaria italiana ovvero, in caso di adozione pronunciata all’estero, mediante provvedimento dell’Autorità straniera reso efficace in Italia con ordine (emanato dal Tribunale per i minorenni) di trascrizione nei registri dello stato civile.
Se l’adottato è maggiorenne, può acquistare la cittadinanza italiana per naturalizzazione trascorsi 5 anni di residenza legale in Italia dopo l’adozione.
c) PER NATURALIZZAZIONE DEI GENITORI.
Secondo l’art. 14 della legge 91/92 “I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza”.
L’acquisto interviene, quindi, avviene automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l’ordinamento italiano.
Perché il genitore divenuto italiano possa trasmettere il nostro status civitatis al figlio, occorrono pertanto che ricorrano tre condizioni:
il rapporto di filiazione; la minore età del figlio; la convivenza con il genitore.
L’art. 12 del D.P.R. n. 572/93 ha specificato che la convivenza deve essere stabile ed effettiva ed attestata con idonea documentazione, deve inoltre sussistere al momento dell’acquisto o del riacquisto della cittadinanza del genitore.
4. ACQUISTO DELLA CITTADINANZA PER BENEFICIO DI LEGGE.
La fattispecie, regolata dall’art. 4 della legge n. 91/92, si riferisce ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano. Per la relativa disciplina si rinvia, pertanto, al Ministero dell’Interno.
5. CITTADINANZA PER MATRIMONIO CON CITTADINO/A ITALIANO/A.
L’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano è disciplinato dagli artt. 5, 6, 7 e 8 della legge 91/92.
Il coniuge straniero può acquistare la cittadinanza italiana su domanda, in presenza dei seguenti requisiti:
in Italia: due anni di residenza legale dopo il matrimonio; all’estero: tre anni dopo il matrimonio. Tali termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi; validità del matrimonio e permanenza del vincolo coniugale fino all’adozione del decreto; assenza di sentenze di condanna per reati per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione o di sentenze di condanna da parte di un’Autorità giudiziaria straniera ad una pena superiore ad un anno per reati non politici; assenza di condanne per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale (delitti contro la personalità dello Stato); assenza di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.
La domanda di acquisto della cittadinanza, indirizzata al Ministro dell’Interno, va presentata, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare territorialmente competente utilizzando l’apposito modulo che deve essere debitamente compilato in ogni sua parte e sottoscritto. Ove il richiedente sia un cittadino extracomunitario la firma deve essere autenticata dall’Ufficio consolare che riceve la domanda.
In caso di istanza presentata all’estero, il richiedente deve allegare la seguente documentazione legalizzata e tradotta:
atto di nascita completo di tutte le generalità, ovvero, in caso di documentata impossibilità, attestazione rilasciata dall’Autorità diplomatico-consolare del Paese di origine nella quale si indicano le esatte generalità (nome, cognome, data e luogo di nascita), nonché paternità e maternità dell’istante; certificati penali del Paese di origine e degli eventuali Paesi terzi di residenza; certificato di residenza o documento equipollente; estratto per riassunto dai registri di matrimonio rilasciato dal Comune italiano presso il quale è stato iscritto o trascritto il relativo atto (non certificato o copia dell’atto di matrimonio); certificato di cittadinanza italiana del coniuge in bollo; copia del passaporto (munita di traduzione ufficiale in lingua italiana, ove il documento non contenga indicazioni redatte, oltre che nella lingua originale, anche in lingua inglese o francese), autenticata dalla Rappresentanza diplomatico-consolare dello Stato che lo ha rilasciato; certificato di stato di famiglia, in bollo. Ricevuta del pagamento del contributo di 200 euro.
In base all’art. 4, comma 5 del D.P.R. n. 572/93 è facoltà del Ministero dell’Interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti.
Si ricorda che, ai sensi della direttiva del Ministro dell’Interno del 7 marzo 2012, a partire dal 1° giugno 2012 la competenza ad emanare i decreti di concessione della cittadinanza spetta:- al Prefetto per le domande presentate dallo straniero legalmente residente in Italia;
- al Capo del dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all'estero;
- al Ministro dell'Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.
I seguenti atti: estratto dell’atto di matrimonio, certificato di stato di famiglia, certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono sostituiti, qualora il richiedente sia cittadino UE, da autocertificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000 e da ultimo dalla legge 183/2011.
Il richiedente cittadino di un Paese non aderente all’Unione Europea può essere esonerato dalla presentazione dell’estratto dell’atto di matrimonio, del certificato di stato di famiglia e del certificato di cittadinanza italiana del coniuge, qualora tali atti siano già in possesso della Rappresentanza diplomatico consolare. A tal fine è necessario che:
a. il richiedente dichiari nella domanda che l’estratto dell’atto di matrimonio, il certificato di stato di famiglia e il certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono già in possesso dell’Ufficio consolare, indicando il Comune italiano dove l’atto è stato trascritto, la data di celebrazione del matrimonio e, ove in suo possesso, gli estremi della trascrizione;
b. l’Ufficio consolare attesti che i dati riportati dall'istante nella domanda sono stati verificati e corrispondono ai suddetti atti in possesso della Sede.
Si suggerisce ad ogni buon fine di consultare il sito web della Rappresentanza competente per residenza.
6. ACQUISTO PER RESIDENZA
L’art. 9 della legge contempla l’istituto della concessione della cittadinanza italiana mediante Decreto del Presidente della Repubblica, prevedendo modalità differenziate in considerazione di specifici requisiti degli aspiranti e graduando il periodo di residenza legale occorrente per legittimare la proposizione della relativa istanza.
In via ordinaria viene richiesta una residenza legale sul territorio dello Stato di almeno 10 anni per gli stranieri non comunitari (art. 9, lett. f), ma numerosi sono i casi per i quali il periodo di residenza occorrente è inferiore:
- 3 anni di residenza legale: per lo straniero di cui il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati italiani per nascita o per lo straniero nato in Italia e ivi residente;
- 4 anni per il cittadino di uno Stato aderente alle Comunità Europee;
- 5 anni di residenza legale successivi all’adozione per lo straniero maggiorenne; successivi al riconoscimento dello status per l’apolide o il rifugiato politico.
Non è previsto il requisito della residenza per lo straniero che ha prestato servizio anche all’estero per lo Stato Italiano per almeno cinque anni (lettera c dell’art. 9).
Riferendosi ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano, si rinvia per la relativa disciplina al Ministero dell’Interno.

Credo quindi che la polemica sulla cittadinanza ai figli degli immigrati sia più demagogica che pratica, considerato che un bimbo nato in Italia da genitori residenti da almeno 10 anni diventerebbe italiano al decimo anno di età. Qui sotto riporto l'intervento di Giorgia Meloni che riassume in maniera totale anche il mio pensiero (o più facilmente viceversa).
Al netto di tutte le teorie e di tutti i dibattiti che possiamo costruirci intorno, c’è un principio che mi sta a cuore e dal quale vorrei partire: “L’Italia a chi la ama”. Penso che la patria non sia un dato che si acquisisce per mera discendenza, qualcosa che ci troviamo a ereditare e archiviamo. La patria è una scelta che rinnoviamo ogni giorno, una scelta libera e appassionata. Dobbiamo considerare che oggi ci sono migliaia di ragazzi stranieri che sono nati e cresciuti in Italia. Di fatto, sono italiani come i loro coetanei. Il punto resta dunque quello di calare nell’ordinamento dello Stato l’affermazione di principio “l’Italia a chi la ama”. Una questione di cui ultimamente si dibatte molto (nelle commissioni parlamentari ci sono infatti varie proposte di riforma) e che personalmente ritengo si debba affrontare senza demagogie inutili né scorciatoie, ossia integrando lo ius sanguinis con lo ius soli. Il diritto alla cittadinanza per “linea di sangue” non è infatti una questione di razza o di etnia. Rispecchia il concetto per cui chi è figlio di italiani è italiano, perché avrà ricevuto dalla sua famiglia una formazione culturale e civica che fa di lui un cittadino italiano. Ma, allo stesso modo, bisogna riconoscere che un giovane può essere forgiato come cittadino italiano anche in altri modi. E penso ovviamente al ruolo della scuola. Sono in generale contraria all’ipotesi di ridurre a zero o quasi i tempi per la cittadinanza o di renderla automatica dopo un certo periodo di permanenza. Ma credo che un giovane, nato o no in Italia, se frequenta con profitto la scuola dell’obbligo, debba essere considerato alla stregua di un figlio di italiani. E che abbia diritto, quindi, alla cittadinanza italiana.
Dall’esame dell’attuale legge per l’acquisizione della cittadinanza appare chiaro che molto può essere migliorato per facilitare i ragazzi delle seconde generazioni. Per tale motivo, proprio in questi giorni sto ragionando su una iniziativa normativa che consenta di tenere conto del problema, che garantisca ai giovani stranieri pari opportunità. Favorendo, ad esempio, il riconoscimento formale del loro status sostanziale prima della maggiore età e rendendo più semplici le pratiche per la cittadinanza una volta maggiorenni. Non sarebbe nulla di più se non il giusto riconoscimento per quei ragazzi che sono italiani a tutti gli effetti. (Giorgia Meloni)